06 settembre, 2018

Disincanto, una disillusione.

© Matt Groening - picture by Bruno Olivieri
Sarà che forse ho nutrito più aspettative del dovuto, o sarà che la mia ammirazione per i prodotti di Matt Groening ha alimentato forse troppo la mia fiducia, fatto sta che una volta arrivato alla fine della 1a stagione di Disincanto, la serie animata originale Netflix in onda dall'agosto scorso, sono rimasto con l'amaro in bocca. 

Per la verità ho provato una gran fatica nel riuscire a vedere gli episodi fino alla fine e in alcuni casi, devo ammettere di essere stato preda di poco onorevoli botte di sonno che mi hanno costretto a un rewind, per recuperare quanto perduto. 
Fino alla terza puntata ho sperato che la serie finalmente decollasse. Poi ho creduto che molto probabilmente il motivo di tanta fiacca fosse imputabile al doppiaggio in italiano salvo, una volta passato all'audio originale inglese, rivalutare l'operato dei doppiatori italiani i quali si sono limitati a fare riferimento al doppiaggio originale, cercando di rifare pedissequamente le stesse voci orrende dei personaggi. 

Insomma, a parte questo, per quanto riguarda il mio personale giudizio, la serie non ha avuto quel grip necessario affinché mi facesse gridare al miracolo. Si è trascinata con un ritmo abbastanza lento fino alla fine, facendo leva su alcune gag, spesso divertenti, che nell'economia generale della storia hanno contribuito a strapparmi qualche sorriso. Nelle ultime due puntate il susseguirsi dei colpi di scena è stato talmente serrato che ho avuto il sospetto che gli sceneggiatori non si fossero accorti dell'approssimarsi della fine della stagione e allora hanno dato un colpo di spugna repentino per chiuderla con il classico Coup de théâtre che a me personalmente ha un po' deluso.

Ci sarà una seconda stagione. Mi dovrò preparare psicologicamente se deciderò di seguirla e se lo farò sarà sempre nella speranza che la serie finalmente decolli, ecc, ecc... 

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